Come ottimizzare i risultati di ELVeS?

Come affermato in diverse occasioni di discussione e incontro, non esiste una tecnica standard per la procedura ELVeS. È più corretto parlare di “buona prassi” basata sulla pratica clinica e sulle evidenze scientifiche. A riprova di ciò, con l’esperienza chirurgica si possono adottare alcuni accorgimenti che consentono di ottimizzare i risultati di ELVeS, in termini sia clinici sia anatomici.
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Enrico Leo

08 Agosto 2022

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Nelle righe che seguono illustrerò il tema dell’ottimizzazione della procedura ELVeS, facendo riferimento alla mia personale esperienza e conoscenza in chirurgia flebologica, maturata all’interno dell’ospedale A. Manzoni di Lecco.

Nel contesto di una UOC di Chirurgia Vascolare di terzo livello, a partire dal 2016 è stato creato un percorso dedicato ai pazienti con insufficienza venosa cronica e candidati a una procedura ELVeS. Grazie a questo percorso il paziente accede con un ricovero ambulatoriale direttamente alla sala operatoria, senza effettuare alcun tipo di esame preoperatorio, tranne che in casi selezionati.

Nel corso degli anni, l’esperienza organizzativa e di gestione ha portato a un significativo incremento del numero degli interventi a parità di risorse umane e logistiche (Figura 1).

La tecnica adottata prevede l’utilizzo esclusivo di fibre radiali a doppio anello di emissione, con potenze che variano tra i 7 e i 10 W per la grande safena e di 5 W per la piccola safena. L’energia erogata in J/cm varia in funzione del diametro della vena secondo i principi di “scleroterapia termica” riportati da Spreafico e colleghi [1].

Tralascio volutamente la discussione circa l’impatto che tali materiali hanno sull’efficacia della procedura ELVeS, peraltro ben noto da un’attenta analisi della letteratura scientifica, per poter prendere in esame alcuni aspetti teorico-pratici che a mio parere possono determinare un sensibile miglioramento dei risultati ELVeS.

Figura 1 – Interventi flebologici effettuati presso l’Ospedale Manzoni di Lecco

Scelta del sito di accesso alla safena

Ritengo che la scelta di tale sito sia da considerare secondo l’esperienza e la preferenza dell’operatore. Tuttavia il concetto generale che dovrebbe guidare nella scelta è quello di pungere la safena in modo da trattare il tronco fino al punto più distale del reflusso.

Generalmente si sceglie di pungere la grande safena circa 1-2 dita sotto il ginocchio mentre per la piccola safena il sito di puntura usualmente è localizzato al terzo prossimale di gamba. Nel caso di tronchi safenici con tortuosità particolari, la scelta del sito di accesso può contemplare l’utilizzo di più introduttori secondo le caratteristiche anatomiche del vaso.

Ovviamente, la scelta del sito di accesso è strettamente correlata ai rapporti anatomici che intercorrono tra la vena e le strutture circostanti, in particolare i nervi safeno e surale, rapporti che divengono tanto più “stretti” mano a mano che si scelgono siti di accesso più distali. A tale proposito, con l’esperienza ho acquisito la tendenza ad adeguare la potenza e la quantità di energia erogata intraoperatoriamente, riducendo progressivamente i valori impostati quando la fibra viene retratta sino al terzo medio di gamba.

Studio pre-operatorio della competenza della safena accessoria anteriore

Questo aspetto assume particolare importanza nella valutazione dei risultati a medio e lungo termine di ELVeS. L’abolizione del reflusso alla giunzione safeno-femorale richiede necessariamente l’ablazione di tutti gli assi venosi incompetenti che originano da essa.

A tale scopo, un attento studio ecografico pre-operatorio e la ricerca di una eventuale safena anteriore accessoria refluente rappresentano un momento fondamentale. Nel caso di reflusso giunzionale che interessa solo la grande safena, è possibile scegliere di effettuare un trattamento che preveda l’ablazione completa del vaso partendo raso alla giunzione safeno-femorale, includendo quindi anche lo sbocco della safena accessoria, oppure un trattamento che determini l’ablazione del tronco safenico solo distalmente all’origine della safena accessoria, cercando di non danneggiarne la valvola pre-ostiale.

Nel caso di reflusso giunzionale che si propaga solamente alla safena anteriore accessoria (circa il 10% dei casi), difficile e controverso è l’approccio da adottare nei pazienti che non presentano varici e sintomi ad esse correlati. In tutti gli altri casi, l’identificazione di una safena accessoria refluente richiede necessariamente un trattamento che, a differenza di quello chirurgico tradizionale, garantisce la conservazione della grande safena continente.

Ritengo che, allo stato attuale, sulla base delle evidenze cliniche e scientifiche l’approccio mediante “crossectomia laser” risulti essere troppo aggressivo. Preferisco quindi trattare unicamente l’asse venoso incompetente e la giunzione in modo da ottenere un moncone di 1-2 cm, con un flusso persistente attraverso una sua tributaria, cercando di preservare l’emergenza della safena accessoria, se competente.

Quantità di soluzione impiegata per la tumescenza perisafenica

Dedico la maggior parte del tempo chirurgico all’esecuzione di un’abbondante tumescenza perisafenica, ovviamente sotto controllo ecografico.

Mediamente, impiego 400 ml di soluzione procedendo in direzione cranio-caudale dal piano fasciale profondo a quello superficiale.

In particolare, ritengo che la creazione di uno spazio adeguato tra la fascia posteriore e il vaso venoso sia di fondamentale importanza per far sì che il/la paziente non abbia dolore o fastidi durante l’ablazione termica.

Contestuale bonifica delle varici

Nella nostra Azienda, il percorso studiato per i pazienti candidati a trattamento ELVeS prevede l’esecuzione contestuale delle flebectomie. Questo per due motivi principali: l’analisi delle evidenze scientifiche e la natura “pubblica” del servizio offerto dalla nostra UOC.

È ampiamente dimostrato che la bonifica delle varici mediante flebectomie multiple in corso di intervento ELVeS è sicura ed efficace [2]. I risultati di un trial clinico randomizzato dimostrano che l’approccio chirurgico mediante flebectomie contestuali all’ablazione safenica riduce significativamente l’incidenza di procedure secondarie e migliora la qualità di vita dei pazienti [3].

A tale proposito, la riduzione delle procedure secondarie rientra tra gli obiettivi generali che un’azienda di servizio pubblico come la nostra si prefigge nei confronti della popolazione trattata. In altri termini, occorre fornire al paziente un servizio che, a fronte del pagamento di un ticket, garantisca la completezza del trattamento con i migliori risultati possibili.

Programma di follow-up ed eventuali reinterventi

Nella mia esperienza, il primo controllo post-operatorio è previsto dopo sette giorni, associato a un ecocolordoppler per avere conferma dell’occlusione del tronco safenico e dell’assenza di EHIT a carico della giunzione. Il paziente viene invitato a ripresentarsi a una visita di controllo ambulatoriale dopo sei mesi e quindi a cadenza annuale.

Il riscontro di reflusso a livello del moncone giunzionale, in un segmento di tronco safenico residuo o nella safena accessoria di coscia non rappresenta di per sé un’indicazione a un nuovo trattamento.

Si programma un reintervento esclusivamente nei pazienti con varici recidive sintomatiche o quadri clinici con numerose varici francamente antiestetiche.

Conclusioni
  • BUONA PRASSI – ELVeS è una tecnica non standard ma basata sulla buona prassi.
  • OTTIMIZZAZIONE DEI RISULTATI – È possibile ottimizzare i risultati con l’esperienza e il miglioramento di alcuni aspetti teorico-pratici.
  • STUDIO PRE-OPERATORIO – Lo studio pre-operatorio della safena accessoria anteriore è fondamentale.
  • REINTERVENTO – È possibile programmare un nuovo reintervento sulla safena residua o sull’accessoria se vi sono motivi clinici.