I fallimenti: come prevederli, evitarli e trattarli.

Un’analisi dei fallimenti, a seguito di interventi con laser endovenoso, deve considerare due differenti punti di vista: il punto di vista del chirurgo e quello del paziente.
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Patrizia Pavei

08 Agosto 2022

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La chirurgia endovenosa laser è efficace e con effetti indesiderati molto ridotti, ma esistono alcuni problemi ancora non del tutto risolti.
La figura 1 illustra quello che intendiamo per fallimento del trattamento termoablativo endovenoso laser.
I flebologi per “fallimento” intendono un risultato ecografico diverso da quello sperato: in particolare, come evidenziato nella figura, il fallimento può essere identificato come una ricanalizzazione del tronco trattato o come la presenza di un reflusso della crosse safeno-femorale, una neoangiogenesi o un reflusso su una vena safena accessoria anteriore.

Il fallimento ecografico non è tuttavia importante per il paziente: quello che per lui conta è la ricomparsa delle
varici, eventualmente associata a sintomi che siano legati o meno al quadro varicoso. Nell’ambito della malattia venosa cronica, che è per sua natura evolutiva, la ricomparsa di varici è possibile, e non sempre è correlata ad un fallimento dell’intervento endovascolare

Prendiamo ora in esame la ricanalizzazione del tronco safenico. Secondo letteratura, la ricanalizzazione del tronco safenico ha un’incidenza variabile dal 3 al 25 % (media del 7%), anche se questo dato si riferisce a casistiche molto eterogenee: differenti lunghezze d’onda (980 vs. 1470 nm), fibra piatta vs. fibra radiale, differente energia somministrata.

Nell’esperienza del nostro centro, l’incidenza di ricanalizzazione è estremamente bassa nei pazienti trattati con laser 1470 nm e con fibre radiali: dalla revisione dei nostri pazienti dopo un follow-up a sette anni, abbiamo individuato un unico paziente, con ricanalizzazione parziale del tronco (pari allo 0,5% della nostra casistica di 183 casi trattati con la tecnica ELVeS).
Come ovviare al problema della ricanalizzazione del tronco safenico trattato? La risposta sta nella somministrazione di una quantità sufficiente di energia.

L’unico caso di ricanalizzazione osservato nel campione di pazienti controllati a sette anni dall’intervento, era un soggetto con BMI molto elevato e una vena enorme. In questo caso verosimilmente, il cattivo risultato può essere attribuito ad un sottodosaggio dell’energia somministrata.

L’importanza di ottenere un danno termico transmurale adeguato è evidenziata anche dalle raccomandazioni dell’American Venous Forum del 2017 per le tecniche ter-moablative (Figura 2), dove si suggerisce di raggiungere per il tronco safenico un livello minimo di LEED (Linear Endovenous Energy Density) di 60 joule per cm, da rad-
doppiare in corrispondenza della giunzione.

Per essere certi di erogare sufficiente energia viene seguita una semplice regola (la regola del X10) in cui l’energia da erogare viene calcolata moltiplicando il calibro medio della safena per 10.
La crosse safeno-femorale e la presenza di una vena safena accessoria anteriore, sono forse i punti controversi . Quale comportamento adottare in corrispondenza della crosse safeno-femorale è il tema più delicato, punto cruciale per minimizzare l’incidenza di fallimenti del trattamento endovenoso laser. Le crosse safeno-femorali refluenti alla manovra di Valsalva possono essere associate ad un vaso di out flow oppure no: in quest’ultimo caso il reflusso si arresta alla crosse. In caso di presenza di outflow, il reflusso può prendere la via di piccoli vasi dei linfonodi inguinali oppure si può indirizzare verso la vena safena accessoria anteriore.

Pochissimi pazienti, nella casistica del nostro centro, con crosse safeno-femorale refluente senza outflow hanno sviluppato varici: monitorare i pazienti nel tempo sembra essere il comportamento più corretto in questi casi. Se, invece, c’è outflow in qualche piccolo vaso linfonodale, le varici che si sviluppano sono di scarso rilievo clinico e di solito nemmeno rilevate dal paziente. Anche in questi casi non si interviene, anche se, in alcuni casi si può eseguire una scleroterapia quando richiesto dal paziente per motivi estetici.

Per tutte le tecniche endovascolari termiche, laser compreso, il vero problema della crosse safeno-femorale refluente è l’outflow nella vena safena accessoria anteriore. Secondo letteratura, il problema avrebbe un’incidenza dal 9 al 31% (il 19% nella metanalisi di O’Donnell a 2 anni).

Nella nostra casistica, 78 pazienti (di cui solo 10 sintomatici) su 183 presentavano varici recidive non correlate ad un fallimento del precedente trattamento endovascolare termico: in altri termini, si trattava di nuove varici conseguenza legate all’evolutività della malattia varicosa cronica. Una minoranza (24 arti) di queste 78 recidive è stata ritrattata: in 23 casi con scleroterapia e solo in un caso con flebectomia.

La revisione della nostra casistica relativa ai trattamenti della vena piccola safena, ha rilevato un diverso pattern di fallimenti. Nei 42 pazienti con varici della piccola safena, non si ci sono state né ricanalizzazioni del tronco, né recidive dalla crosse safeno-poplitea con neoangiogenesi e formazioni di piccoli vasi. Sono stati invece osservati un episodio di crosse safeno-poplitea refluente ma senza out flow, e due pazienti con recidive su perforanti del cavo popliteo. Si trattava , in questi casi, di un’ipertensione venosa profonda che aveva preso una via diversa rispetto alla piccola safena. Varici residue sono state osservate in 7 pazienti di questo gruppo, ma per nessuna varice residua è stata identificata una via di fuga rilevante e nessuna è stata ritrattata.

Per prevenire possibili recidive, conseguenti alla presenza di una vena safena accessoria anteriore refluente come
dobbiamo agire?
Il primo passo è l’attento studio ecografico preoperatorio della crosse safeno-femorale e la ricerca dell’eventuale safena accessoria refluente. Se identificata, la safena accessoria deve essere trattata.

Alcuni autori (come Lawson) propongono di effettuare sempre l’ablazione completa della safena fino a raso della crosse femorale safeno-femorale, includendo quindi anche lo sbocco della safena accessoria anteriore: in pratica come eseguire una crossectomia “termica”.
Altri, il nostro gruppo rientra tra questi, propongono , in caso di safena accessoria continente, di trattare il tronco safenico distalmente all’origine della safena accessoria stessa, cercando di non danneggiare la valvola vicino al suo ostio di origine, e di monitorare la situazione nel tempo.

In ogni caso, il problema non risulta critico in quanto solo l’8% di questi pazienti, secondo i nostri dati, svilupperà delle varici.
Proprio per questo non riteniamo giustificato l’approccio aggressivo portato avanti da alcuni autori, che prevedono il trattamento termico di un tratto di safena sana e probabilmente che resterà integro anche in futuro.

Resta da definire quale atteggiamento tenere se ci troviamo di fronte ad una safena accessoria anteriore refluente all’ecocolordoppler di 5 mm, con un reflusso, ma senza varici e senza sintomi. Un atteggiamento simile ad una crossectomia chirurgica è in questi casi giustificato?
Per ciò che riguarda la prevenzione della ricanalizzazione del tronco safenico, la soluzione resta un’adeguato apporto di energia durante l’esecuzione della tecnica endovascolare.
Per quanto riguarda una possibile evoluzione nella malattia venosa cronica e la possibilità di una comparsa di nuove varici, queste possono essere ridotte con uno stretto follow-up nei primi 12-24 mesi.

Conclusioni

Fallimento chirurgico: il punto di vista del paziente e del flebologo
Paziente: ricomparsa delle varici
Flebologo: ricanalizzazione del tronco trattato o reflusso della crosse safeno-femorale, neoangiogenesi o reflusso su una vena safena
accessoria anteriore.

Ricanalizzazione del tronco safenico
Per ridurre la probabilità della ricanalizzazione del tronco safenico trattato è necessario somministrare la quantità sufficiente di energia.

Giusta quantità di energia
Dell’American Venous Forum le tecniche termoablative suggerisce di raggiungere per il tronco safenico un livello minimo di LEED pari a 60 joule per cm, da raddoppiare in corrispondenza della giunzione.

Per prevenire recidive
In presenza di una vena safena accessoria anteriore refluente è opportuno l’attento studio ecografico preoperatorio

Per prevenire recidiva delle varici
Uno stretto follow-up nei primi 12-24 mesi ed eventuale scleroterapia di completamento.