Il laser nelle varici recidive

La tecnica ELVeS, grazie alla maggiore esperienza degli operatori e ai progressivi sviluppi tecnologici, è sempre più utilizzata per trattare la malattia varicosa degli arti inferiori in tutte le sue forme. In tal senso il laser rappresenta un’ulteriore opportunità anche per il trattamento delle varici recidive.
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Carlo Pepe

09 Agosto 2022

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Graziella Veronesi

09 Agosto 2022

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Tutte le varici recidive degli arti inferiori hanno origine da un punto di fuga più o meno evidente. A seconda del sito anatomico interessato, si possono distinguere: recidive inguinali, di coscia e di gamba.

Le recidive inguinali

Le recidive inguinali sono spesso secondarie a trattamenti chirurgici di tipo tradizionale, come per esempio una crossectomia effettuata in modo non adeguato con legatura bassa e residui di moncone della safena interna, e soprattutto della safena accessoria anteriore. Quest’ultima, di norma, ha un tratto di 15-20 cm piuttosto rettilineo e profondo, per poi riemergere in sede sottocutanea circa a metà della coscia. In questi casi può essere indicato il trattamento con metodica laser ELVeS con puntura diretta delle varici safeniche recidive/residue.

Altri casi di recidiva inguinale possono essere invece secondari a precedenti procedure endovascolari effettuati su una safena interna o su una safena anteriore con monconi giunzionali e/o safene residue ricanalizzate: anche in questi casi la procedura laser è praticabile con buoni risultati. Quando invece la recidiva inguinale è legata a un processo di neoangiogenesi, cioè alla formazione di rami tortuosi e di piccolo calibro, un trattamento laser non è agevole: in questi casi, si preferisce procedere a una scleroterapia con schiuma ecoguidata.

Le recidive di coscia

Le varici recidive di coscia senza recidiva inguinale hanno una possibile origine tra il terzo medio di coscia e il ginocchio: in tale sede si può riscontrare un tratto di safena residua da pregresso intervento di stripping effettuato con molta probabilità su safene doppie o su safene che avevano un reflusso di secondo grado. Non è raro infatti, che la safena residua, rimasta in sede nel tratto sottofasciale, possa dilatarsi riproponendo a distanza di anni sia la sintomatologia sia la ricomparsa di varici.

In tutti questi casi, è indicato l’intervento laser con puntura diretta a livello del ginocchio, come per la procedura classica: procedendo sotto controllo ecografico, si fa progredire la sonda laser fino al punto di origine della safena residua. A volte, al terzo medio distale di coscia, sono visibili vene perforanti incontinenti (come le perforanti di Hunter) che possono dare reflussi sia sulla safena residua, sia su varici extrasafeniche con decorsi più tortuosi.

Le recidive di gamba

Le recidive di gamba spesso sono dovute a safene incontinenti sotto al ginocchio quale esiti di pregressi interventi di stripping corto o di procedura endovascolare della safena interna. In questo caso, pur potendo eseguire il laser con determinati accorgimenti (bassi voltaggi e abbondante anestesia), per il momento il trattamento di elezione è ovviamente quello con scleromousse ecoguidata, al fine di evitare le possibili complicanze neurologiche.

Per le recidive di gamba una menzione a parte meritano quelle secondarie a chirurgia della piccola safena. Dopo una crossectomia safeno-poplitea, eseguita in maniera più o meno corretta, si possono riscontrare varici recidive da incontinenza di tutta la safena esterna ancora in sede.

Anche in questi casi, è possibile reintervenire con il laser, soprattutto nelle safene esterne di grosso calibro, mentre nelle varici recidive da safene esterne di piccolo calibro o da vena perforante del cavo popliteo sicuramente la scleromousse è l’unica tecnica possibile per evitare le note complicanze neurologiche.

Mappaggio preoperatorio

La valutazione preoperatoria delle varici recidive non differisce da quella utilizzata per il laser delle safene: viene effettuata con l’ecocolordoppler e parte sempre dal circolo venoso profondo, che deve risultare, ovviamente, pervio e privo di esiti trombotici, che rappresentano una controindicanzone al trattamento. Lo studio delle varici recidive necessita se possibile di una maggiore accuratezza perché finalizzata a individuare correttamente i punti di fuga, le vie di diffusione del reflusso e il decorso delle varici.

Si utilizza una sonda lineare da 7,5 o 12 MHz per identificare i vari punti di fuga e per studiare i reflussi, anche quelli a bassa velocità; nei soggetti obesi con una coscia più grossa si può utilizzare anche una sonda da 5 o 7 MHz, che permette di avere una visione più chiara delle varici con andamento più profondo. Il mappaggio emodinamico viene effettuato con il colordoppler ed è determinante perché permette di individuare esattamente i punti di fuga che danno origine alle varici recidive; anche in questi casi è consigliabile utilizzare un box del color più piccolo per valutare i reflussi lenti e un box del color più grande per visualizzare meglio l’origine dei punti di fuga. Con il B-mode invece è possibile misurare i diametri vasali, e soprattutto eseguire il mappaggio morfologico delle varici. Questo ci permetterà di studiare il decorso e le eventuali tortuosità delle varici che potrebbero rappresentare un ostacolo alla risalita della fibra laser verso l’origine della varice. Quando sono presenti tortuosità molto evidenti che la sonda non riuscirebbe a superare, è possibile procedere con accessi multipli.

Nella nostra unità operativa di Angiologia e Chirurgia flebologica dell’ospedale di Sassuolo non vengono effettuate altre indagini per lo studio delle varici recidive anche se in letteratura vengono segnalati in rari casi l’impiego della TAC o della RMN.

Dettagli tecnici del trattamento

Di seguito vengono illustrati alcuni dettagli tecnici dei vari trattamenti, suddivisi per quadri anatomici.

TRATTAMENTO LASER DEL MONCONE RESIDUO CON UN TRATTO DI SAFENA ACCESSORIA ANTERIORE SUPERFICIALE NELLA PARTE MEDIA

In questo quadro anatomico, nei casi da noi trattati, sotto controllo ecografico, abbiamo eseguito la puntura della safena anteriore al terzo medio-distale di coscia, scegliendo l’accesso più agevole per avere un tratto di vena abbastanza rettilinea. Abbiamo fatto risalire la sonda, sempre sotto controllo ecografico, fino all’origine della crosse safeno-femorale, fermandoci a circa 2 cm dalla femorale, per evitare di avere ulteriori recidive nelle collaterali di piccolo calibro. Per questo punto di fuga, il trattamento utilizzato è lo stesso di quello della safena interna, con un dosaggio dell’energia da erogare congruo con il calibro della vena; cioè solitamente si utilizzano 6-8 watt per 70-80 joule/cm che verranno moltiplicati x3 alla crosse. Quando la safena anteriore diventa più superficiale, si adegua la potenza del laser a 4 watt. Se in questa situazione si presentano varici di gamba, abbiamo eseguito nella stessa seduta un
trattamento ibrido con scleromousse oppure, raramente, con varicectomia, se il calibro del vaso era consistente.

TRATTAMENTO LASER DELLA SAFENA INTERNA RESIDUA DOPO CHIRURGIA

Nella nostra esperienza, abbiamo trattato sia casi che non presentavano complicanze, cioè solo con varici, sia casi che presentavano esiti parietali di varico-flebiti, con safena interna ricanalizzata in parte o completamente. Nel caso di una safena residua senza complicanze, abbiamo eseguito sempre un accesso percutaneo sottogenicolare della safena interna residua; abbiamo fatto progredire la sonda fino al punto di emergenza di quest’ultima e quindi effettuato la termoablazione laser della safena residua con potenze analoghe alla procedura standard leggermente più basse per l’assenza del reflusso dalla crosse.

Nel caso di safene residue con esiti parietali da pregresse flebiti, la tecnica di posizionamento della fibra laser è la stessa con l’unica accortezza di pungere un tratto di vena ben ricanalizzato e “morbido”. In questi casi però abbiamo effettuato un’anestesia per tumescenza più abbondante per distaccare i tessuti per poter aumentare la potenza del laser fino a 8-9 watt ed avere una maggiore efficacia termoablativa a livello della parete. In tutti questi casi, l’energia erogata in joule/cm è come sempre proporzionale al diametro della varice da trattare. Le collaterali di gamba eventualmente presenti sono state trattate con scleromousse e occasionalmente con flebectomia in caso di varici di grosso calibro o per fenotipi di cute particolarmente sensibili alla pigmentazione dopo scleroterapia.

Non bisogna dimenticare il possibile caso di safena residua alimentata da perforante di Dodd o da perforanti del canale di Hunter: in questi il trattamento nel primo tratto della safena residua è sempre “x3” come nella crosse safeno-femorale, perché solitamente si tratta di perforanti di grossocalibro. A volte è possibile trattare anche direttamente la perforante incontinente.

Un’altra possibile causa di varici recidive è rappresentata dal fallimento di una precedente procedura endovascolare sia laser sia a radiofrequenza sia con scleromousse; in questi casi abbiamo utilizzato la tecnica standard con potenze aumentate ed energia adeguata al calibro vasale.

TRATTAMENTO LASER DELLA VENA PICCOLA SAFENA RESIDUA DOPO CHIRURGIA

La procedura per il trattamento della vena piccola safena residua è uguale a quello del trattamento standard con accesso al III medio di gamba risalendo poi fino al punto di fuga più prossimale. Per la safena esterna vengono solitamente usate sonde Slim dual ring con potenze più basse rispetto alla safena interna di circa 3-4 watt.

Vantaggi e limiti del laser

Tra vantaggi della metodica laser nel trattamento delle varici recidive, va sicuramente citata la possibilità di trattare le varici durante la stessa seduta. Al contrario la scleromousse ecoguidata richiede spesso molteplici sedute, con un maggior disagio per il paziente, causato anche dall’utilizzo della calza elastica per un periodo più lungo.

Altro vantaggio del laser rispetto alla scleromousse è quello di essere più efficace nel chiudere i punti di fuga; e questo anche per le varici recidive è di fondamentale importanza al fine di ottenere un miglior risultato sia clinico sia cosmetico.

A favore della metodica laser c’è anche la rapidità di efficacia; infatti già a 7-8 giorni dall’intervento, i controlli mostrano generalmente un risultato soddisfacente, che poi migliora ulteriormente con il passare dei mesi, con dolore riferito dai pazienti praticamente assente. Con la scleromousse, invece, disturbi possono persistere per diversi mesi, in termini sia di dolore sia di sensazione d’indurimento del cordone della vena.

Infine il laser garantisce una migliore resa estetica, in assenza di pigmentazione della cute e di tratti di vena residui superficiali induriti: anche questo risulta essere un aspetto significativo, particolarmente apprezzato soprattutto dalle pazienti.

Invece, gli svantaggi della metodica laser sono essenzialmente due: la necessità di dover effettuare un’anestesia per tumescenza, che può essere mal tollerata da alcuni pazienti, e la difficoltà nel trattare vasi molto tortuosi. In termini più generali, nelle strutture ospedaliere private può esserci anche lo svantaggio del costo del trattamento laser, ancora nettamente superiore a quello della scleromousse. Nelle strutture pubbliche però l’utilizzo del laser si è dimostrato più vantaggioso potendo fare in tal caso una valutazione più ampia dei costi-benefici.

CONCLUSIONI

VARIABILITÀ DEI QUADRI DI VARICI – La procedura laser ha avuto uno sviluppo tecnico che ha permesso di adattare la metodica ai più diversi quadri di varici che in passato rappresentavano un suo limite.

EFFICACIA ANCHE SULLE RECIDIVE – Anche le varici recidive possono essere efficacemente trattate con il laser grazie alla possibilità di fare più accessi durante la stessa seduta.

EVOLUZIONE DELLE FIBRE – L’uso di fibre più maneggevoli permette di superare modeste tortuosità vasali.

POTENZA MODULABILE – La possibilità di modulare l’energia e la potenza del laser permette di arrivare a trattare anche rami varicosi più piccoli e superficiali.

POSSIBILI SVANTAGGI – Gli unici svantaggi della metodica laser rimangono la necessità di effettuare un’anestesia per tumescenza e l’inapplicabilità della stessa a molti tratti venosi recidivi tortuosi, superficiali e di piccolo calibro che comunque possono essere sottoposti a trattamento ibrido con scleromousse.

BIBLIOGRAFIA

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