Termoablazione laser: uno sguardo alla Svizzera

A colloquio con Milko Pedrotti, angiologo in libera professione in Lugano, con all’attivo una lunga esperienza flebologica sia in clinica universitaria sia in attività privata
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Milko Pedrotti

08 Agosto 2022

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Dottor Pedrotti, approfittiamo della sua esperienza professionale per gettare uno sguardo al mondo dei trattamenti flebologici laser in Svizzera, un Paese geograficamente vicino all’Italia, ma molto lontano per il tipo di organizzazione dell’assistenza sanitaria. Cerchiamo di capire, in prima battuta, quali sono gli specialisti che possono effettuare il trattamento di termoablazione.

In Svizzera possono fare questi trattamenti non solo l’angiologo – e intendendo con questo la figura dello specialista in Angiologia e Flebologia – il dermatologo, quando si tratta di un discorso estetico, e chiaramente il chirurgo.
I dermatologi inviano a noi angiologi numerosi pazienti, quando non vogliono andare oltre una patologia superficiale.

Esiste quindi una specializzazione specifica?
Esiste da poco, forse solo da due decenni, la specialità in Angiologia e Flebologia: si tratta in realtà di una sotto-specialità di ulteriori tre anni che si può intraprendere solo dopo aver ottenuto la specializzazione in Medicina interna o Dermatologia.

E qual è invece l’iter formativo che normalmente segue un angiologo per poter eseguire i trattamenti endovenosi con il laser?

Ci sono alcuni passaggi obbligatori. Bisogna premettere che il laser endovascolare esiste già da un paio di decenni in Svizzera, ma è stato riconosciuto dalla Cassa malattia a partire dal primo gennaio 2016: è solo da quattro anni, quindi, che esistono le condizioni “legali” perché si possa fare il laser e che sono stati definiti i requisiti per poter eseguire il laser endovascolare dalla Società svizzera di Flebologia, che è sotto l’ombrello della Società di malattie vascolari, a cui fanno riferimento i chirurghi vascolari, gli esperti di microcircolazione, gli angiologi interventisti, i radiologi interventisti e i dermatologi, cioè tutte le figure mediche che hanno a che fare con le malattie vascolari. Per tornare alla sua domanda, occorre conseguire un apposito diploma, sulla base di un titolo di capacità in ultrasonografia, con un numero minimo di ecocolordoppler eseguiti e certificati. Quindi, in pratica: chi è angiologo ha già questi requisiti, mentre chi non lo è deve dimostrare di avere le competenze per fare ecodoppler e di aver eseguito un certo numero di interventi con laser endovascolare in un istituto riconosciuto; la soglia varia dai 50 interventi per chi non è un radiologo interventista o un chirurgo vascolare ai 10 minimi per chi ha già questo tipo di formazione. Una volta ottenuto il diploma, tutta la documentazione va inviata alle assicurazioni mediche, che poi danno il permesso al professionista di eseguire gli interventi e di fatturarli. Inoltre, ogni tre anni bisogna rinnovare il diploma dimostrando di aver seguito degli appositi corsi.

Questo perché in Svizzera il sistema sanitario è basato su assicurazioni private, giusto?

In Svizzera è obbligatorio avere un’assicurazione sanitaria privata e in più sono previste delle sovvenzioni per i meno abbienti. In sostanza, il 95% dei cittadini paga mensilmente un’assicurazione malattia di base oppure una polizza più costosa, che dà diritto ad alcune prestazioni specifiche in più; il tutto viene poi controllato a livello centrale da Santé Suisse, l’ombrello di tutte le numerosissime assicurazioni malattia private.

E quindi chi fissa gli standard degli interventi?

A fissare gli standard per ciascuna specialità è la Società scientifica di riferimento; poi, in accordo con le assicurazioni, vengono determinati il valore di ciascuna prestazione e la relativa normativa. C’è infine un intervento politico perché l’Ufficio federale di Sanità deve dare il suo benestare.

E qual è per esempio l’iter per poter aprire uno studio medico privato?

Per poter avere uno studio medico, bisogna avere un titolo di medico specialista svizzero oppure, per chi non è citta-
dino svizzero, un titolo equipollente; quest’ultimo è sempre più difficile da ottenere, dato che bisogna conoscere almeno due lingue nazionali e aver lavorato 2-3 anni in un ospedale svizzero. Una volta raggiunti questi requisiti, bisogna fare domanda alla capitale del Cantone, che rilascia il certificato di libero professionista, senza il quale non si può esercitare in privato; una volta ottenuto il certificato, si può fare domanda per aprire uno studio. Non ci sarebbero altri vincoli burocratici, se non fosse per una moratoria che
dura ormai da 10 anni, per la quale si possono aprire studi nuovi solo di certe specialità mediche, vale a dire: Medicina generale, Medicina interna, Pediatria e Psichiatria; nel caso delle altre specialità si può solo continuare l’attività cessata
dal precedente titolare.

Ci sono anche degli standard su come dev’essere fatto lo studio?

Sì, di questo si occupa un medico, di solito un internista, che visita lo studio per dare il suo benestare. So che recentemente le norme sono cambiate e bisogna avere obbligatoriamente due toilette, mentre non ci sono standard che riguardano specificamente il laser endovenoso. Chiaramente, esiste una specifica normativa per ciascuna prestazione medica di ogni disciplina, dalla psichiatria alla neurochirurgia, normativa che si riferisce al tipo di trattamento che può essere eseguito in determinate condizioni. Per quanto riguarda la nostra attività, viene definita una categoria di interventi, che comprende anche il laser endovascolare, per cui è prevista una “Sala di strumenti”: ciò significa che non è necessaria per esempio di una aerazione laminare di un certo livello, che è richiesta in una sala operatoria 1 (Op-1); in pratica, a seconda della categoria di sterilità, si va dalla Op-1, che riguarda i grossi interventi
che vengono effettuati in ospedale, fino alla Op-3. Nel nostro caso è indicata solo una sterilità di base. Quindi, in definitiva, per gli interventi che faccio io, di norma non sono necessari criteri particolari, se invece dovessi fare un intervento di stripping di safena o una crossectomia avrei bisogno di una sala operatoria Op-1.

I pazienti come arrivano al suo studio?

Se parliamo dei pazienti flebologici, direi che il 60-65% viene autonomamente, mentre la quota restante viene inviata dai medici di famiglia. Ognuno ha la propria assicurazione. Le differenze tra le polizze fanno sì che l’assistito possa usufruire non tanto di certe prestazioni in più, quanto piuttosto di essere curato in certe cliniche o di essere operato da un primario, che in ogni caso interviene in prima persona o tramite un suo vice nei casi più complessi. Questo per quanto riguarda l’ospedale, mentre nel privato non cambia nulla: anche l’assicurazione di base copre tutto.

Nel caso del laser, la polizza assicurativa copre tutto il percorso di terapia, cioè l’intervento, i controlli post-o-
peratori, i controlli a distanza etc.?

Assolutamente sì; come dicevo, dal 1° gennaio 2016 questo trattamento è stato incluso nel tariffario medico federale nazionale, e perciò la società scientifica di riferimento ha dovuto concordare i rimborsi con le assicurazioni e con i rappresentanti politici, e chiaramente questi rimborsi contemplano un percorso terapeutico ben codificato. Da sottolineare a questo riguardo che, a partire dal 2019, le tariffe sono state ritoccate verso il basso, a causa dell’esplo- sione dei costi della Sanità che si è registrata in Svizzera; ci aspettiamo quindi un calo, che si può stimare intorno al 15%, nella nostra come in altre specialità operatorie. Lo Stato ha invitato i rappresentanti delle associazioni di specialità e le assicurazioni di mettersi d’accordo tra di loro, con una scadenza a fine 2020, oltre la quale la decisione sarà politica. Per questo attualmente siamo in lotta per mantenere un tariffario dignitoso.

Perché ha scelto questo tipo di laser?

Quando io ho iniziato la formazione una decina di anni fa in ospedale si usava ancora un laser lineare – con fibra nuda e punta piatta – cioè il laser di prima generazione, e conoscevo solo quello. Poi, negli anni, seguendo congressi e informandomi sulla tecnologia, ho capito quale potesse essere la tipologia adatta alla mia attività. In seguito, mi sono state fatte delle proposte, e tre anni fa ho optato per quello a emissione radiale che sto usando tutt’ora con grande soddisfazione. I vantaggi sono quelli ben noti a tutti: grande flessibilità di utilizzazione, efficacia di occlusione vicina al 100%, con rischi e controindicazioni praticamente
ridotte a zero.
Ci racconta un po’ nel dettaglio la sua esperienza e come segue di norma i pazienti?

Certamente. Iniziamo con un po’ di numeri: opero circa 200 pazienti all’anno, quindi complessivamente ho all’attivo circa 600 interventi. Per quanto riguarda la selezione del paziente, opero a tutte le età: il criterio guida è che l’intervento sia tecnicamente possibile, ma sempre tenendo conto della volontà del paziente. Lavoro in setting ambulatoriale puro, quindi senza anestesista, solo con un’assistente che mi aiuta a predisporre il campo sterile: questo è un grande vantaggio del poter operare con il laser.
Se il caso è bilaterale puro, cioè senza estesa flebectomia, li opero nella stessa seduta e solitamente non vado oltre l’ora ora e un quarto di intervento; in caso contrario fisso due interventi a distanza di tempo. Inoltre, faccio sempre fare una profilassi antitrombotica. I risultati sono decisamente positivi, con un tasso di occlusione della safena sopra al 90% e una notevole soddisfazione espressa dai pazienti, che possono tornare alle loro attività quotidiane in brevissimo tempo. Personalmente, li seguo fino a un anno dall’intervento.

Come si comporta quando deve operare pazienti difficili?

Se intendiamo per paziente difficile quello con patologie associate particolari, allora posso anche decidere di farlo
non ambulatorialmente ma nell’ospedale dove lavoro, utilizzando lo stesso sistema, ma in una sala operatoria classica, in presenza anche di un anestesista… ma si tratta di pochi casi, diciamo il 2% del totale. Ci sono però alcuni pazienti che, per motivi psicologici, preferiscono essere addormentati, anche se non ve ne è una reale necessità. Capitano poi soggetti con una varicosità accessoria, epifasciale, di vicarianti delle safene, talmente complessa che dovrei utilizzare molto anestetico locale: a quel punto preferisco fare l’intervento con anestesia spinale.

E ha mai riscontrato problemi di qualsiasi tipo?

Devo dire sinceramente che da 25 anni faccio flebectomie anche estese e non o mai avuto problemi: né di allergie all’anestetico né di infezioni, ascessi o quant’altro: non ho mai dovuto prescrivere terapie antibiotiche… in questo il laser endovenoso ha dimostrato di essere estremamente sicuro. Ecco, forse solo qualche crisi vaso-vagale e qualche raro caso non tanto di ricanalizzazione, quanto di non occlusione della vena precoce, ma si tratta di rari casi, diciamo l’1-2% del totale.

 

CONCLUSIONI

Nell’intervista si racconta l’esperienza in un contesto di un paese differente dall’Italia, in una libera attività con una copertura di un sistema sanitario assicurativo. Ma il paragone permette alcune considerazioni:

Il laser endovenoso in Svizzera
Gli interventi di flebologia mediante laser endovenoso sono rimborsati anche in Svizzera. Esiste ed è molto importante e dettagliato l’obbligo di una formazione adeguata in flebologia, ecografia e chirurgia.

Aggiornamento della strumentazione
Il dottor Pedrotti, dopo un’esperienza con un laser a 980 nm e fibre nude a punta piatta, ha scelto la tecnologia di seconda generazione (laser a 1470 nm e fibre radiali 2 ring), che utilizza con grande soddisfazione.

Approccio ambulatoriale
l dottor Pedrotti adotta un approccio completamente ambulatoriale: esegue la procedura da solo, senza supporto dell’anestesista, in un ambiente che non ha gli standard della sala operatoria tradizionale, con dimissione del paziente nel giro di 30 minuti.

Efficacia, sicurezza e soddisfazione del paziente
Questa procedura consente di ottenere un tasso di efficacia in termini di ablazione confermata all’ecocolordoppler post-operatorio molto soddisfacente, con un numero di complicanze molto limitato. Il numero di pazienti che rifiutano il trattamento ambulatoriale o che vengono scartati dall’operatore è molto esiguo; dopo l’intervento il tasso di gradimento dei pazienti è molto elevato.