Il trattamento laser endovenoso della vena piccola safena: una casistica

Il trattamento laser dell’insufficienza venosa da reflusso della vena piccola safena è statisticamente meno frequente, ma è gravato da una serie di importanti complicanze, evitabili con opportune misure preventive. La casistica di una clinica convenzionata di Milano dimostra che la tecnica ELVeS garantisce ottimi risultati anche in questa particolare condizione vascolare.
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Sabrina Brambilla

05 Agosto 2022

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Oggigiorno l’utilizzo del laser endovenoso nella chirurgia delle varici è sempre più diffuso ed è indicato dalle linee guida Internazionali, insieme alle altre tecniche endovascolari, come prima scelta da proporre al paziente. Ciò è dovuto al fatto che gli interventi chirurgici tradizionali, per quanto “storica-mente” consolidati, sono gravati da un maggior numero di complicanze: più specificamente, è stato segnalato un rischio di trombosi venosa profonda (TVP) agli arti inferiori di oltre il 5%. Inoltre, sono relativamente frequenti lesioni delle strutture nervose che decorrono in prossimità delle vene che vengono asportate, in particolare quando si interviene sulla vena piccola safena, in cui sembra che lo stripping causi nel 27% dei casi delle lesioni, più o meno transitorie, ai nervi. Sono inoltre frequenti ematomi e, talvolta, infezioni, soprattutto nelle persone in sovrappeso. L’intervento di stripping viene inoltre eseguito nella maggior parte dei casi in anestesia spinale, con necessità quindi di ospedalizzazione, regime ospedaliero che attualmente non è peraltro più previsto da molti Regioni italiane. La ripresa alle normali attività è sicuramente più lenta e necessita un periodo di convalescenza più o meno
lungo. Non da ultimo, anche il dolore post-operatorio può talvolta essere fastidioso, tanto da richiedere una terapia antidolorifica per diverso tempo.

Al momento, i dati maggiori sull’impiego del laser endovenoso riguardano ancora il trattamento della insufficienza della vena grande safena. Il nostro studio si è invece concentrato sul trattamento laser della insufficienza venosa da reflusso della vena piccola safena, statisticamente meno frequente, ma con una serie di importanti complicanze, come lesioni ai nervi o TVP, quando eseguito in chirurgia aperta. Per quanto riguarda le linee guida sul trattamento con laser endovenoso della vena piccola safena, le più recenti (Wittens C, Davies AH, Bækgaard N, et al. Eur J Vasc Endovasc Surg 2015; 49(6):678-737), suggeriscono questo trattamento con grado di raccomandazione B ed evidenza IIa.

La nostra casistica

Nel nostro centro, negli ultimi cinque anni, nel periodo tra gennaio 2015 e dicembre 2019, abbiamo eseguito 1347 procedure laser endovenose (1053 donne, 294 uomini, rapporto 3,58), con 152 trattamenti della vena piccola safena (11,28%). Tutti i pazienti sono stati arruolati dopo uno studio pre operatorio con ecocolordoppler che evidenziava un reflusso significativo tronculare della vena piccola safena (>1 sec.) in ortostatismo; il diametro delle vene refluenti non è stato considerato nell’arruolamento, con diametri che variavano da 4 mm a 1,7 mm. In 151 casi, si è trattato di reflusso primitivo della vena piccola safena, mentre in un caso è stato trattato un reflusso recidivosafenico esterno in esiti di pregresso trattamento laser. Le procedure sono state eseguite utilizzando in tutti i casi un laser a diodi con una lunghezza d’onda di 1470 nm, con fibra dual-ring e con una potenza di erogazione di 6 watt. In tutti i casi sono state associate delle flebectomie.

La procedura è stata condotta in anestesia locale per tumescenza in 151 casi (99,34%) e in anestesia loco-regionale (blocco periferico) in un solo caso (0,66%), nel 2016, a causa di condizioni generali e psicologiche del paziente. Da segnalare che, negli ultimi tre anni, tutte le procedure sono state eseguite in anestesia locale per tumescenza con ridotti volumi di anestetico impiegato (soluzione di Klein), eventualmente con una leggera sedazione per i pazienti più ansiosi. Tutti i casi sono stati trattati, in ottemperanza alle delibere regionali riguardanti l’erogazione delle prestazioni per il trattamento chirurgico delle varici in regime di macroattività chirurgica a bassa complessità (BOCA), in un ambulatorio chirurgico all’interno dell’Unità operativa di Chirurgia vascolare in una clinica privata di Milano, convenzionata con il Sistema sanitario nazionale: la permanenza in ospedale è stata molto breve, dalle 3 alle 6 ore, con deambulazione immediata e dimissione precoce. I tempi di esecuzione totali sono stati inferiori rispetto alle tecniche tradizionali, con una durata media di circa 17 minuti. Nella gestione post-operatoria, è stata prescritta una compressione elastica terapeutica (monocollant post-opera-
torio 24 mmHg) in tutti i casi, da indossare per quattro settimane nelle ore diurne.

A tutti i pazienti è stata praticata inoltre una terapia preventiva anti-trombotica con eparina a basso peso molecolare modulata sul rischio trombotico personale in base a linee guida internazionali. Tutti i pazienti sono stati controllati a 7 giorni e a 30 giorni con un esame ecocolordoppler.

I risultati sono stati molto soddisfacenti: abbiamo ottenuto una completa occlusione del tronco safenico in tutti i casi (100%); 7 pazienti (4,6%) hanno presentato una parestesia temporanea nel territorio del nervo surale, con risoluzione completa in sei casi senza terapia in circa quattro settimane e in un caso con risoluzione completa a tre mesi con l’impiego di un integratore alfa-lipoico.

In quasi tutti i casi abbiamo osservato ematomi minori e lividi, comunque non così importanti da influenzare la qualità della vita o le attività lavorative, e senza dolore intra e post-operatorio significativo. Non si sono verificate infezioni chirurgiche, mentre solo una paziente ha sviluppato una cellulite persistente per circa 1 mese, poi completamente risolta. Non sono state osservate altre gravi complicanze, come TVP e o embolia polmonare.

In conclusione, considerando il tasso molto basso di complicanze maggiori e l’elevata percentuale di successo chirurgico, nel nostro centro, dopo un’accurata valutazione preoperatoria con ecocolordoppler, il trattamento laser delle varici, in particolare della vena piccola safena, si conferma sempre più la nostra prima scelta per questa patologia, ottenendo peraltro dai pazienti un alto livello di gradimento, sia dal punto di vista estetico sia dal punto di vista “sociale”, con un recupero molto veloce e un ritorno rapido alle normali attività quotidiane.

Discussione

I numeri fin qui esposti documentano che i risultati sono stati molto soddisfacenti, con tassi di occlusione del tronco safenico decisamente elevati. Questi obiettivi sono stati raggiunti grazie a un mappaggio accurato del tronco safenico con la misura del suo calibro medio e la conseguente erogazione dell’energia efficace secondo le regole del x10 e del x20. Il tronco safenico è stato trattato, in alto, dal punto in cui la vena si incurva per approfondirsi nel cavo popliteo, fino, in basso, al punto più distale del reflusso, fatta esclusione del terzo distale di gamba, per il pericolo di creare un danno termico del nervo surale.

Per quanto riguarda le specifiche degli strumenti, quello utilizzato era un laser a diodi con lunghezza d’onda di 1470 nm, la cui luce viene assorbita e trasferita in calore nell’acqua della parete venosa, e fibre ottiche radiali dual-ring, che non provocano perforazioni della vena: si evita così che si possa danneggiare un nervo presente all’esterno della vena e si irraggia la vena stessa sull’intera circonferenza e con due passaggi, producendo un danno termico uniforme e a 360 gradi. Il laser è stato impiegato in modo continuo, con potenza di 6 watt, erogando l’energia (joule/cm) secondo la regola del x10. Questa regola semplice e facile da ricordare permette di calcolare l’energia efficace moltiplicando per 10 il calibro medio del tronco, misurato con l’ecografia, in piedi, in millimetri, in scansione trasversale, evitando le zone dilatate. Per esempio, se il calibro medio del tronco è 7 mm, i joule/cm saranno 7×10=70.

Nei primi tre centimetri craniali, per ottenere un danno termico più profondo, la regola utilizzata è stata del x20. Per quanto riguarda la sicurezza, non sono state diagnosticate né TVP, in particolari gemellari, né EHIT (endovenous heat induced thrombosis) cioè quei trombi che si formano alla giunzione per l’effetto del danno termico. Le misure di prevenzione più importanti sono state: mobilizzazione precoce del paziente, entro 30 minuti dalla fine dell’intervento, con uso di monocollant 24 mm Hg utilizzato per un mese e somministrazione di profilassi farmacologica, a partire dalla sera dell’intervento, con nadroparina calcica 0,4 ml, per sette giorni nei pazienti a basso rischio trombotico e per 14 giorni per quelli a rischio più elevato. Utile potrebbe anche essere stato iniziare il trattamento un po’ a distanza dalla crosse, come consigliano nelle loro linee guida i colleghi americani.

I danni termici nel territorio del nervo surale sono stati modesti e completamente reversibili. Sette pazienti (4,6%) hanno presentato una parestesia temporanea nel territorio del nervo surale, con risoluzione completa in sei casi, senza terapia, in circa quattro settimane e in un caso con risoluzione completa a tre mesi con l’impiego di un integratore alfa-lipoico.

Questo risultato è stato ottenuto senza la ricerca ecografica della posizione del nervo surale ed è dovuto con tutta probabilità all’applicazione “maniacale” della soluzione di Klein “a manicotto” intorno alla vena, con lo scopo di distaccare la vena dal nervo e proteggerlo dalla trasmissione del danno termico.

CONCLUSIONI

RISULTATI DI EFFICACIA – A un anno di follow-up, nel 98% dei pazienti esaminati (149 su 152), sono state diagnosticate una ricanalizzazione del tronco e una neocrosse refluente senza ricanalizzazione del tronco.

RISULTATI DI SICUREZZA – Non sono state diagnosticate né TVP, in particolari gemellari, né EHIT.

PREVENZIONE DEI DANNI NEUROLOGICI SENSITIVI – I danni termici nel territorio del nervo surale sono stati modesti e completamente reversibili.