La scelta dell'utilizzo del laser negli anni 2000: un azzardo?

Il gruppo del dott. Spreafico presso l’Unità di day surgery dell’Ospedale di Padova è stato uno dei pionieri dell’uso del laser nel trattamento delle varici safeniche: grazie a un approccio analitico, le tecniche termoablative si sono affermate negli anni fino a diventare un punto di riferimento.
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Redazione

05 Agosto 2022

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Dott. Spreafico, nella sua pluriennale esperienza ha potuto vivere in prima persona tutta l’evoluzione del trattamento delle varici degli ultimi decenni, non è così?

Certamente, per molti versi è così. Attualmente sono in pensione, ma ho lavorato per molti anni in una unità di day surgery presso l’azienda ospedaliera di Padova, dove abbiamo sviluppato molti interventi relativi al trattamento delle varici, tra cui, nell’ultimo periodo, anche l’uso del laser endovenoso.

Quando è iniziato questo lungo processo di trasformazione della tecnica d’intervento?

Il gruppo di cui facevo parte s’interessava di flebologia da molti anni, sia per la diagnostica, con l’ecocolordoppler, sia per gli interventi che, fino al 2001 erano di chirurgia tradizionale, cioè crossectomia e stripping. Sulla base di un’ampia esperienza, nel 2001 eravamo arrivati a eseguire questi interventi – i più comuni nel trattamento delle varici safeniche – in regime di day surgery ambulatoriale, cioè senza ricovero notturno. Per fare questo tipo di trattamento utilizzavamo un’anestesia spinale, monolaterale e selettiva, che ci permetteva di eseguire l’intervento e avere
un rapido recupero della mobilità delle gambe, nel giro di due o tre ore. Oltre ad una chirurgia tradizionale, ave-
vamo anche un’esperienza considerevole di scleroterapia ecoguidata con schiuma, sempre sotto guida ecografica.
Nel 2001 ci siamo interrogati sulla possibilità di adottare alcune nuove tecniche che venivano dagli Stati Uniti, ossiale tecniche termoablative: la prima è stata la radiofrequenza, la prima approvata dall’FDA nel 2000, per l’altra si trattava del laser endovenoso, che era stato autorizzato sempre dall’FDA, l’anno dopo. Queste tecniche, naturalmente, le abbiamo testate, nell’ordine di approvazione degli Stati Uniti: prima la radiofrequenza closure plus, poi il laser – che, all’inizio, era un laser con lunghezza d’onda di 810 nanometri (nm) – e, successivamente non appenaapprovato dall’FDA, il laser Biolitec a 980 nm.

Dal momento che si trattava di tecniche innovative, su che cosa vi siete basati per iniziare? E quali sono state le principali difficoltà?

Quando abbiamo iniziato, il punto di partenza era un’ampia esperienza e una vasta cultura in flebologia e in ecografia venosa, senza la quale è impossibile eseguire le tecniche di termoablazione ecoguidata. L’esperienza disclerosi ecoguidata è stata per noi propedeutica all’esecuzione delle punture ecodirette. Inoltre, avevamo già una buona capacità di gestione di pazienti ambulatoriali, senza ricovero notturno. Per contro, non avevamo esperienza di tecniche endovascolari, come quelle che si usano nella chirurgia arteriosa, non sapevamo come utilizzare un catetere specifico, chiamato introduttore, atto a inserire la fibra ottica nella vena. Ancora non avevamo una cultura specifica di laser e in particolare dei diversi parametri relativi alle lunghezze d’onda e all’energia da erogare, né sapevamo quali si utilizzassero in una occasione o in un’altra. Infine, non avevamo esperienza di anestesia tumescente perché nella chirurgia tradizionale l’anestesia che si utilizzava era spinale.

Quali motivazioni vi hanno spinto in questa direzione?

C’è da ricordare che nel 2001 la maggior parte dei pazienti trattati per le varici in ospedale rimaneva ricoverata tra i sei e 10 giorni. Noi ormai eravamo abituati a un trattamento che veniva eseguito in un ambulatorio – cioè dove facevamo le visite – in anestesia spinale, il che richiedeva un anestesista sempre presente, con la preoccupazione che il paziente in giornata non fosse in grado di poter tornare a casa. Ancora non avevamo alcuna esperienza delle nuove tecniche termoablative, ma abbiamo iniziato ad adottarle perché rispondevano ad alcune nostre esigenze, come fare degli interventi più semplici e in regime ambulato-
riale. Questo avrebbe portato a un grande processo di semplificazione e di de-ospedalizzazione del trattamento rispetto a quello che già facevamo in modo “abbastanza” ambulatoriale; si apriva infatti la possibilità di eseguire un intervento in anestesia locale, quindi senza bisogno della presenza di un anestesista: questo appariva come un enorme vantaggio perché, in un ospedale di grandi dimensioni come quello di Padova, è sempre stato un problema avere a disposizione degli anestesisti per interventi di modesta entità. Con questa nuova metodica era possibile fare una dimissione più rapida: l’arto su cui si operava con il laser non era plegico, come succedeva con l’anestesia spinale, quindi nel giro di una mezz’ora il paziente si reggeva già in piedi. Poi abbiamo scoperto, sorprendentemente, che il decorso postoperatorio era meno doloroso rispetto alla chirurgia tradizionale e, dopo alcuni fallimenti iniziali, i risultati della termoablazione laser si dimostravano essere buoni.

Che cosa invece vi lasciava perplessi?

D’altra parte avevamo un po’ di titubanza, perché si trattava di una tecnica “quasi” sperimentale, introdotta da poco,e mancavano quei parametri che servono per creare uno standard; questo inizialmente è stato il fattore più problematico: non sapevamo bene quanta energia andasse erogata per ottenere la cicatrizzazione della vena; non sapevamo quanto ci si potesse avvicinare alla vena profonda( la giunzione safeno-femorale) perché c’era sempre la preoccupazione che si potesse creare una trombosi venosa nella sede in cui il laser danneggiava la vena; c’era anche il problema di scegliere i pazienti, perché c’era incertezza sui possibili risultati a lungo termine; infine, ci siamo accorti che alcuni risultati all’ecodoppler non erano perfetti e abbiamo temuto che potessero essere, nel tempo, l’origine di una recidiva clinica.

Con il passare del tempo poi si è evoluta anche la tecnologia laser, non è così?

Certamente: nel frattempo il primo laser che era stato approvato dall’FDA, quello a 810 nm, era addirittura uscito dal mercato, mentre si è reso disponibile il laser della Biolitec a 980 nm. A questo proposito, occorre puntualizzare che il laser a 810 nm era tarato per creare il danno termico usando come bersaglio l’emoglobina del sangue, mentre il laser a 980 nm, oltre a conservare questo tipo di bersaglio, aggiungeva la possibilità che la luce venisse trasformata incalore anche nell’acqua: in altri termini, si avvicinava un pochino di più al laser che si usa attualmente a 1470 nm, che ha come bersaglio per la creazione del calore solo l’acqua; dunque in quegli anni abbiamo accumulato un’esperienza notevole con il laser a 980 nm e con l’utilizzo delle fibre ottiche standard, le fibre nude a punta piatta, esperienza culminata nel 2013 con la pubblicazione sul “Journal of Vascular Surgery: Venous and Lymphatic Disorders” dei risultati a sei anni di follow-up [1], rispondendo così ad alcune dubbi emersi inizialmente. Un altro progresso molto molto importante si è verificato nel 2008, quando Biolitec ha modificato e migliorato la tecnologia per l’esecuzione con il laser endovenoso, introducendo sul mercato il laser a 1470 nm che, come ho detto, è un laser la cui radiazione viene assorbita dall’acqua: naturalmente, le vene, come i tessuti dell’organismo, sono costituite per il 70 per cento
d’acqua, quindi divengono un bersaglio che cattura bene la luce del laser a 1470 nm trasformandola in calore. Inoltre, le fibre ottiche sono diventate specifiche per questo trattamento, con l’introduzione della fibra radiale, costituita da una punta modificata che emette la luce con un anello, indirizzando la luce direttamente sulla parete venosa e su tutta la sua circonferenza.

E quali vantaggi clinici hanno portato tutti questi progressi tecnologici?

Questi nuovi strumenti avevano dei vantaggi rispetto ai primi con cui si era cominciato: in primo luogo perché, cambiando il bersaglio, c’erano meno possibilità di causare una carbonizzazione del sangue e della punta della fibra ottica, un elemento che non è mai stato di grande utilità nel trattamento col laser endovenoso; secondariamente, con questo tipo di irradiazione tutta la parete venosa viene danneggiata evitando però il danno da contatto, il che ha ridotto due complicazioni abbastanza frequenti associate ai precedenti laser endovenosi, ovvero le ecchimosi, dovute al fatto che la punta della fibra buca la vena, e il dolore, perché si produceva un’ustione sulla vena stessa e quindi un’infiammazione importante, tanto che nei primi giorni
poteva essere necessario somministrare degli analgesici. In conclusione, da quando è stato introdotto il laser a 1470
nm e le fibre radiali questi effetti collaterali sono diventati molto più rari.

E anche nel caso del laser a 1470 nm avete pubblicato dei risultati?

Sì certo; anche con questo materiale abbiamo potuto fare un’analisi dei risultati e nel 2014 [2] abbiamo pubblicato i risultati a medio termine, cioè a due anni, e successivamente nel 2021 i risultati a termine molto più lungo (più di 9 anni) [3]. Entrambi questi studi pubblicati sul “Journal of Vascular Surgery: Venous and Lymphatic Disorders” hanno mostrato un’ottima efficacia nell’ablazione della grande e piccola safena e anche un ottimo risultato del decorso clinico, con pochissimi effetti collaterali. In tutto questo tempo, il laser endovenoso con queste caratteristiche è diventato una sorta di gold standard per il trattamento della safena con laser, e anche la tecnica si è particolarmente affinata; di conseguenza, le questioni che ci eravamo posti all’inizio sono state risolte: attualmente sono disponibili non solo strumenti (laser e fibre ottiche) di alta qualità, ma anche una tecnica ben definita, che per i principianti è sempre un elemento molto importanze, in grado di accelerare la curva di apprendimento.

Dal 2001, si è accumulata una vasta letteratura sia su vari tipi di laser per uso endovenoso sia sul laser di Biolitec che ha confermato che questa tecnica è efficace e sicura, ha pochi effetti collaterali e un ottimo decorso post-operatorio.

Dunque il laser endovenoso si è affermato come terapia di elezione per il trattamento delle varici safeniche…

Esattamente; anche in base agli studi comparativi randomizzati, condotti successivamente, si è potuto accertare che, secondo i parametri dell’evidence based medicine, il laser endovenoso viene raccomandato come la prima tecnica, la più importante e la più efficace, di trattamento delle safene rispetto alla chirurgia tradizionale e rispetto alla scleroterapia. La raccomandazione è di grado 1, cioè una raccomandazione forte, e l’evidenza è di tipo A, il che vuoi dire che c’è una letteratura molto ampia che confer-
ma ripetutamente questo dato; a questo proposito, vorrei sottolineare che in letteratura sono comparsi vari studi comparativi su diverse metodiche di intervento: ebbene, in termini di rapporto costo/beneficio, il laser endovenoso è quello che prevale, nella pratica corrente, nella regione Veneto, dove io lavoravo: il laser endovenoso ha permesso di affermare il concetto che un’ampia gamma delle varici safeniche debba essere trattato in regime ambulatoriale. Infine, occorre segnalare che, grazie all’esperienza degli operatori, si sono ampliate le indicazioni al trattamento ambulatoriale con laser endovenoso e sono diventati pochi i casi da affrontare con una chirurgia tradizionale: anche questo elemento ha spinto ad avere una maggioreattenzione all’uso della tecnica endovenosa con laser; via via poi che sono stati ottenuti buoni risultati, oltre che sulla grande safena, anche sulla piccola safena o sulle perforanti, si sono ampliate anche le indicazioni: molte di quelle che venivano considerate controindicazioni sono diventate relative, nel senso che, in base all’abilità dell’operatore e alla situazione del caso clinico, spesso possono essere trattati casi che precedentemente invece sarebbero stati scartati.

 

KEY POINTS
  • L’esperienza del’Unità di day surgery dell’Ospedale di Padova, iniziata nel 2001, ha ulteriormento confermato quello che emerge da numerose linee guida: il laser endovenoso è raccomandato, con raccomandazione forte, come prima scelta per il trattamento della malattia varicosa della vena grande e piccola safena, nonché delle perforanti.
  • Le valutazioni del rapporto costo-beneficio hanno rinforzato ancor di più la raccomandazione, mostrando che, sotto questo profilo, il laser endovenoso è una scelta più valida della chirurgia open e della scleroterapia.
  • Per quanto riguarda specificamente il laser endovenoso, l’impiego di un laser a diodi 1470 nm e di fibre ottiche a doppia emissione radiale, seguendo le indicazioni d’uso del produttore, si può considerare attualmente il gold standard della tecnica del laser endovenoso.
BIBLIOGRAFIA

1. Spreafico G, Piccioli A, Bernardi E et al. Six-year follow-up of endovenous laser ablation for great saphenous vein incompetence. J Vasc Surg Venous Lymphat Disord 2013; 1(1):20-5
2. Spreafico G, Piccioli A, Bernardi E et al. Endovenous laser ablation of great and small saphenous vein incompetence with a 1470-nm laser and radial fiber. J Vasc Surg Venous Lymphat Disord 2014; 2(4):403-1
3. Pavei P, Spreafico G, Bernardi E et al. Favorable long-term results of endovenous laser ablation of great and small saphenous vein
incompetence with a 1470-nm laser and radial fiber.
J Vasc Surg Venous Lymphat Disord 2021; 9(2):352-360Syst Rev
2014; (7): CD005624